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lunedì 16 agosto 2010

Petrolio e veleni / Il Mare Nostrum rischia di diventare Mortum



Petrolio e veleni
Il Mare Nostrum rischia
di diventare Mortum

150mila tonnellate di combustibile gettato in acqua ogni anno, poco a poco
Dall’agricoltura intensiva e dagli scarichi industriali affluiscono sostanze
chimiche che uccidono pesci e alghe. In più. cicche di sigaretta e plastiche



Il dossier
RACHELE GONNELLI


Tartarughe e delfini
Almeno centomila
muoiono soffocati
dai sacchetti di plastica



Rinunciare al sushi di
tonno, ripulire a mano
spiagge e arenili da bottiglie
di plastica e cicche
di sigaretta, residui
di bivacchi, rottami portati dalla risacca,
evitare gli scarichi a mare di
ogni genere. Qual è la lista delle cose
da fare concretamente per evitare
che il Mediterraneo muoia? Per
scongiurare che figli e nipoti non
abbiano più la possibilità di pescare
un’arsella affondando le mani
nella sabbia dell'Adriaticoo di vedere
un branco di delfini dal traghetto
per le isole greche. Un mare caldo
come un brodo, con pochi pesci
e tante meduse: è questo che ci
aspetta irrimediabilmente a causa
dell’inquinamento e del surriscaldamento
globale?
Ogni anno nel «mare nostrum»
vengono gettate 150mila tonnellate
di petrolio. Nontutte insieme come
nel caso della Bp, con piccole e
medie chiazze che poi si sedimentano
in catrame sul fondale. Sono il
risultato delle micro collisioni tra
petroliere, delle perdite nei porti e
del criminale risciacquo delle stive
a mare per non aspettare il proprio
turno in banchina. Quanto a petroliere,
siamo sull’Autosole del mare:
il 30% del traffico mondiale passa
nelle acque del mare più inquinato
del mondo, mare chiuso e con un
lento ricambio dall’oceano Atlantico.

Più nere che blu sono oggi le onde
solcate un tempo dalle triremi
greche e romane. È chiaro che oltre
al petrolio, gran parte dell’inquinamento
marino dipende dalle sostanze
chimiche immesse attraverso
i fiumi dall’agricoltura invasiva e
dagli scarichi industriali. Ma anche i
comportamenti individuali incidono
sui grandi numeri.
Soltanto le cicche di sigaretta - in
base ad un recente studio dell’Enea
diRoma- spente nella sabbia o direttamente
buttate dalle barche, sono il
40% dei rifiuti tossici presenti nel
Mar Mediterraneo. Le bottiglie di
plastica sono il 9,5%, i sacchetti di
plastica l’8,5. Le cicche - gli italiani
ne disperdono nell’ambiente 72 miliardi
l’anno, è stato calcolato - sono
particolarmente dannose perché
contengono 4mila sostanze nocive e
cancerogene, hanno un filtro che
non si decompone facilmente e viene
spesso ingerito dai pesci più grandi.
Eppure non vengono percepite
come rifiuto particolarmente inquinante
da chi le getta.

A Minorca nelle Baleari, riserva
mondiale della Biosfera decretata
dall’Unesco, nelle spiagge più belle
come quella di S´Albufera des Grau,
all’ingresso, i visitatori vengono muniti
di un apposito portacenere in
cartone da gettare poi in cassonetti
differenziati all’uscita. Ma la pratica
non è diffusa in Italia, tanto meno in
Grecia o in Turchia. Quanto ai rifiuti
in plastica ogni anno un milione di
uccelli marini e 100mila tra delfini e
tartarughe muoiono per aver ingerito
buste di plastica e altri rifiuti in
sospensione.
In attesa di un cambio totale di
mentalità che renda le abitazioni e
le attività umane, turismo incluso,
più sostenibili per l’ambiente, i Paesi
che si affacciano sul Mediterraneo
hanno adottato vari protocolli di salvaguardia.
Ci si basa sulla Convenzione
di Barcellona - a cui non tutti i
Paesi rivieraschi hanno aderito, ma
la maggior parte - ed è una specie di
Onu del mare basata sul principio
«chi inquina paga», sulla cooperazione
tra le diverse sponde del Mediterraneo
e sulla promozione di tecnologie
pulite e aree di rispetto della biodiversità
marina. Nella sua ultima
sessione biennale, sulla base di uno
studio biennale finanziato anche dallaComunità
europea, sono state individuate
le «aree di speciale protezione
e interesse ambientale», zone di
particolare pregio dal punto di vista
della biodiversità, in acque nazionali
e internazionali, che gli Stati dovrebbero
ora tutelare. Si chiamano in sigla
Spamis, Specialy Protected Areas
of Mediterranean Importance, tra
cui il Santuario dei mammiferi marini
tra Genova e le coste francesi.
Ma nessuno Stato all’ultima riunione
dei ministeri dell’Ambiente a
giugno a Istanbul ha alzato la mano
per attuare dei piani di gestione integrata.
Risultato: la loro efficacia resta
sulla carta. Le potenti lobby armatoriali
dei porti come Genova, Livorno
e Marsiglia e anche della nautica
da diporto hanno finora evitato, ad
esempio, una normativa che impedisca,
controlli e sanzioni gli scarichi a
mare delle navi. Invece la salvaguardia
vera di queste aree potrebbe permettere
la rinascita di ecosistemi ormai
in grave pericolo. Polmoni per
un Mediterraneo vivo.


L'articolo di Rachele Gonnelli è leggibile on - line, in "chiaro", sull'Edizione Nazionale del 13-8-2010

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