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venerdì 26 febbraio 2010

Chi li vuole e chi no


Chi li vuole e chi no
di Tiziana Moriconi

UNIONE EUROPEA
Per essere coltivate sul terreno dell'Unione, le varietà transgeniche devono prima essere valutate dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare e ricevere l'approvazione della Commissione europea. Spetta poi ad ogni singolo Stato decidere se e cosa coltivare, una volta stabilita la distanza minima dalle altre piantagioni non Ogm, necessaria per evitare le contaminazioni. La Ue, infatti, tutela la libertà di scelta, ovvero il diritto dei cittadini di poter scegliere cibo non transgenico.

FRANCIA
La legge consente le coltivazioni geneticamente modificate dal giugno del 2008. Prevede una distanza minima di 50 metri tra campi Ogm e non, e un risarcimento per eventuali contaminazioni. Oggi non sono presenti coltivazioni transgeniche.

GERMANIA
Favorevole, ma cauta. La legge prevede una distanza minima di 150 metri dalle piantagioni convenzionali di mais e 300 da quelle biologiche, oltre all'obbligo di informare le aziende adiacenti, e di far firmare loro consenso scritto se si trovano a distanze inferiori ai limiti di coesistenza.

AUSTRIA
La normativa è molto severa e mira a proteggere le coltivazioni tradizionali. È previsto un risarcimento per "gravi effetti avversi" derivanti dalle coltivazioni Ogm. SPAGNA Mais Ogm è coltivato dal 1998 senza alcuna regolamentazione sulla coesistenza. Tutta la produzione è destinata ai mangimi per animali.

GRAN BRETAGNA
Le piantagioni Ogm non sono considerate pericolose, ma si preferisce valutare caso per caso. Si coltivano dal 1993 a scopo di ricerca, ma i prodotti non sono mai stati commercializzati. USA Una volta che una coltura Ogm è approvata dai tre organi deputati, lo United States Department of Agriculture, l'Environmental Protection Agency e la Food and Drug Administration, può essere fatta crescere liberamente in qualsiasi Stato. Vanno rispettate distanze minime per evitare la contaminazione.


(Scheda tratta da http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2120665/&print=true)

Gli Ogm sono tra noi (Ancora proibiti nei campi, ma già legali sulla tavola degli italiani)



Riporto un brano di un recente articolo di Tommaso Cerno riguardante gli O.g.m.
L'articolo è anche pubblicato in chiaro quasi interamente in Rete.

Ogni anno negli allevamenti italiani si consumano quasi 4 milioni di tonnellate di soia transgenica, un quarto del fabbisogno totale. Stessa cosa vale per il mais, pur in percentuale minore. Numeri sconosciuti ai più, che circolano solo fra gli addetti ai lavori. Così come pochi sanno che con quegli stessi animali si producono anche i grandi marchi Dop del made in Italy: dal Parmigiano al Grana, fino al prosciutto di San Daniele. Senza bisogno di scriverlo da nessuna parte, senza l'obbligo di informare chi compra. È così che l'Ogm si diffonde, fa concorrenza all'agricoltura tradizionale, si infiltra nella nostra dieta. Sì, perché lo scontro che vede l'agguerrito ministro delle Politiche agricole Luca Zaia, schierato per il no alle colture biotech, riguarda solo il divieto di seminare mais e soia ottenuti in provetta. Ancora proibiti nei campi, ma già legali sulla tavola degli italiani.


IL FALSO OGM-FREE
Dalla stalla al piatto il passo è breve. Anche se non sembra. Se fai un giro fra gli scaffali dei supermercati l'etichetta Ogm, in effetti, è molto rara. La si trova ogni tanto sull'olio di semi per friggere. E poco altro. Ma le cose non stanno proprio così. Le multinazionali commissionano sondaggi continui e sanno bene che l'80 per cento degli italiani si schiera ancora contro i cibi transgenici. Magari senza sapere bene di cosa si parli, visto che quattro adulti su dieci non conoscono nemmeno il significato della sigla. E così i brand mondiali preferiscono non rischiare e restare sotto soglia. Tanto, fino allo 0,9 per cento di concentrazione nelle merendine, nei crackers, nel lievito o nella panna di soia, come di ogni prodotto in vendita in Italia, sulla confezione non serve scrivere Ogm.

Fino ai prodotti bio come il tofu, che spadroneggia nelle bioteche. Nel 2008 il ministero ha controllato un migliaio di alimenti e il 4,3 per cento risulta positivo al test: è vero che spesso l'Ogm presente è al di sotto della soglia dello 0,9, ma in molti obiettano che l'esistenza di un limite tecnico sotto il quale non si vede la mutazione non è garanzia che quella mutazione sia irrilevante. Non solo: i furbetti del transgenico si moltiplicano quando i controlli si spostano alle frontiere. Sui Tir in ingresso, un campione di alimenti su 10 presentava tracce di Ogm. Tantissimi. Anche il ministero parla di "riscontro significativo ", eppure i controlli restano insufficienti: solo 54 durante l'anno. "È per questo che chiediamo l'etichettatura completa dei prodotti su carni, formaggi e derivati. Il consumatore deve sapere tutto su ciò che acquista e mangia. È una mancanza grave di trasparenza ", spiega ancora Altroconsumo: "I controlli sono difficili, lunghi e ancora troppo pochi per avere la certezza che quello che finisce in tavola sia davvero Ogm free". Le Asl ci stanno provando. Già nel triennio 2009-2011 si prevede di intensificare le verifiche, soprattutto alle ex dogane da cui proviene il grosso degli alimenti a rischio. Anche perché se in Italia produrre Ogm è vietato, in Europa siamo circondati: Spagna, Repubblica Ceca, Portogallo, Germania, Slovacchia, Romania e Polonia coltivano regolarmente mais transgenico. Migliaia di ettari, destinati ad aumentare negli anni.

IL VENTO DEL NORD
Doveva adeguarsi anche l'Italia e sdoganare l'agricoltura transgenica. La firma dell'accordo Stato-Regioni per definire i paletti era attesa a fine gennaio. Invece dal ministro Zaia è arrivato un altro rinvio. Troppi dubbi sulle linee guida per la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate. In altre parole non c'è accordo su come impedire che i semi transgenici contaminino i campi ancora al naturale. Così da Vivaro, un paesino alle porte di Pordenone, è partita la sfida al governo. La guida un contadino friulano, Silvano Dalla Libera, che ha spento il trattore e s'è rivolto al giudice. Ricorsi, controricorsi fino al Consiglio di Stato che gli ha dato ragione: è un suo diritto seminare mais Ogm e il ministero dovrà autorizzarlo entro il 19 aprile. Una bomba a orologeria per Zaia, in corsa per la poltrona di governatore del Veneto, che promette di impugnare la sentenza e fermare il contadino biotech pronto, invece, a seminare il primo campo Ogm al confine fra Veneto e Friuli. Con lui altri mille soci di Futuragra, forti di un sondaggio Demoskopea che dimostrerebbe come da quelle parti ben il 53 per cento degli agricoltori si dica pronto a seguire l'esempio: "Ho dovuto arrivare a 63 anni per farmi il primo campo transgenico. Negli Stati Uniti vidi con i miei occhi la soia Ogm già 20 anni fa e mi dissi: dove vogliamo andare con le nostre zappe?", racconta Dalla Libera che ha inviato una lettera aperta al premier Berlusconi. Il Friuli Venezia Giulia resta a guardare. L'ex governatore Riccardo Illy s'era detto favorevole nel 2005 all'avvio delle sperimentazioni, pronto a divorare una polenta transgenica alzando un calice di vino. Così farà anche il successore Renzo Tondo del Pdl: "Non vedo contraddizioni fra la tutela del prodotto locale e l'Ogm. Possono avere spazi e funzioni diversi. Da una parte coltiviamo l'alimento di qualità, dall'altra Ogm, magari per produrre energia alternativa. Zone separate, regole, rispetto reciproco".

Il problema di Tondo non sarà tanto il vento elettorale, che soffia in poppa alla Lega contraria al suo progetto. Quanto la brezza di montagna. Perché dal campo di Silvano Dalla Libera i semi di mais Ogm voleranno dappertutto, dando avvio anche in Italia alla “ contaminazione” che Coldiretti denuncia come rischio globale. Basta farsi una cinquantina di chilometri verso il mare. A Fossalon, nella laguna di Grado, Massimo Santinelli coltiva soia biologica. È titolare della Biolab e da vent'anni commercia tofu nel Nord-est. "La mia soia è naturale al 100 per cento, effettuo controlli alla semina, durante il raccolto e sul prodotto finito. Se danno il via libera ai campi Ogm, non potrò più avere certezze. Chi risponderà dei danni?". Nessuno lo dice. Anche perché il rovescio della medaglia è che i contadini-tech sono pronti a fare altrettanto. E chiedere un risarcimento di 200 milioni di euro se lo stop agli Ogm rovinasse il loro raccolto: "La contaminazione? La subiremo noi, quando le piante robuste e perfette verranno contaminate da mais malato". Si annuncia battaglia. Anche perché Federconsumatori è pronta a ricompattare la coalizione anti-Ogm che già nel 2007 si mobilitò per indire un referendum.


(Brano tratto da http://espresso.repubblica.it/dettaglio/gli-ogm-sono-tra-noi/2120663/12)

lunedì 22 febbraio 2010



Merc. 24 Febbraio
ore 21
Hotel "Il Chiostro" - V. F.lli Cervi - VERBANIA Intra

Incontro eco...logico




* Laura Castellarin: Allattamento al seno: fortuna o cultura?

Laura Castellarin
OSTETRICA, EDUCATRICE PERINATALE, CONSULENTE PER L'ALLATTAMENTO MATERNO, ANIMATRICE IN ACQUA


* Romina Braggion: Alimentazione e salute: sai cosa mangi?

venerdì 19 febbraio 2010

L'INCOGNITA CARBURANTI E LE FRONTIERE DEI BIOCOMBUSTIBILI


L'INCOGNITA CARBURANTI E LE FRONTIERE DEI BIOCOMBUSTIBILI

Ricerca
Prima fu il bioetanolo, ideato dal giapponese Yumi Someya; oggi è la jatropha, un arbusto velenoso tipico delle zone aride di Asia e Africa. Fra business e bizzarie, la scienza cerca una seria alternativa ai derivati del petrolio

Era il 1992 quando il giapponese Yumi Someya sperimentò con successo la possibilità di produrre carburante grazie all'olio da cucina riciclato. Nasceva così il Vegetable Diesel Fuel (VDF). Un'idea tanto originale quanto remunerativa per il giovane Someya, che oggi è uno dei più importanti businessman del Sol Levante. Basti pensare che di recente ha annunciato il cosiddetto Tokyo Yuden 2017, un progetto che prevede il riciclo dell'intera quantità di olio da cucina utilizzato nella capitale giapponese.
Va ricordato però che l'idea di produrre carburante ecosostenibile risale almeno agli anni Settanta.

Quando la crisi economica internazionale indusse il governo brasiliano a investire sulla produzione di propellente derivante dalla lavorazione della canna da zucchero, ovvero il bioetanolo. Un'idea che oggi permette al Brasile di soddisfare parte della domanda interna e di esserne il principale esportatore.
Certo, è plausibile pensare che né il governo brasiliano né Yumi Someya immaginavano di ottenere tanta fama e ricchi introiti nell'arco di pochi decenni. L'imprevista e straordinaria crescita economica di India e Cina ha generato in poco tempo un forte aumento della domanda di petrolio. Quest'ultimo è destinato a esaurirsi nell'arco di pochi decenni. E nella disperata ricerca di una fonte alternativa, i principali paesi industrializzati hanno iniziato a investire massicciamente sui combustibili derivanti dalla fermentazione non solo della canna da zucchero, ma anche dei cereali e degli oli vegetali.
Ma, i biofuel possono davvero sostituire il petrolio? E quali sono le conseguenze di una loro intensa produzione?

Occorre rilevare che la comunità e gli esperti internazionali esprimono opinioni del tutto contrastanti in materia.
Per molti si tratta di un vero crimine contro l'umanità, per altri il vero crimine è non investire su questa nuova frontiera. La realtà è che il principale limite alla produzione su larga scala di combustibile di natura vegetale è quello spaziale. Sono necessarie vaste aree agricole e fertili da sottrarre evidentemente alla produzione alimentare. Peraltro, per produrre un litro di biocarburante occorrono in media 4.000 litri di acqua. Mentre per produrre 100 litri di etanolo servono 240 chili di mais: quanto basta per soddisfare il fabbisogno energetico di un essere umano in un anno.
A questo occorre aggiungere le conseguenze catastrofiche sul sistema alimentare mondiale, o meglio dei paesi in via di sviluppo. Secondo i dati delle Nazioni Unite nel corso del 2008 si è registrato un aumento a livello globale del prezzo del riso del 75% e del grano del 120% rispetto al 2007.

Le cause sono in primis la corsa all'oro verde e la crisi dei mutui immobiliari statunitensi, che hanno contribuito a dirottare ingenti investimenti speculativi verso la Borsa di Chicago (la più importante al mondo per questo scambio di contratti). Inoltre i principali paesi del G8 continuano a finanziare la produzione di agrocombustibili. Negli Stati Uniti un terzo della produzione di mais è destinata alla produzione di bioetanolo, e tra il 2006 e il 2012 sono previsti sussidi al settore per una cifra che rischia di sfiorare i 100 miliardi di dollari.
È evidente che il prezzo più alto lo pagano i paesi poveri. Non occorrono dunque particolari studi e riscontri per capire che una riduzione delle terre destinate alla produzione alimentare e un aumento dei prezzi possono avere delle conseguenze devastanti. Non è certo un caso che, secondo gli ultimi dati presentati dalla Fao, il numero di affamati nel mondo abbia registrato un netto aumento rispetto al 2006, passando da 850 milioni di persone a oltre un miliardo all'inizio di quest'anno.

A fronte di così tante critiche, la risposta del settore agro-energetico sembra essere la Jatropha. Si tratta di una specie vegetale non commestibile e in grado di crescere su terre meno fertili o semi-aride.
L'India ha incluso la Jatropha nel programma per l'indipendenza energetica, prevedendo entro il 2012 di piantarne 160 milioni soltanto nello Stato di Chattisgarh. Non è un azzardo prevedere che nel medio periodo, quando la domanda di agrocarburanti aumenterà, le aziende coltiveranno la Jatropha anche nelle zone fertili per massimizzare i profitti. In sintesi. I biofuel non possono rappresentare l'unica via alternativa al petrolio, né tantomeno la principale. In base alle tecnologie attualmente disponibili, una produzione su larga scala presenta molte controindicazioni e pochi vantaggi. Questi ultimi riguarderebbero soltanto i paesi industrializzati, condannando quelli in via di sviluppo al loro insostenibile presente.
Di contro, su base regionale la produzione è possibile. In questo caso, però, è necessario distinguere tra biocarburanti prodotti da immense colture alimentari e quelli derivanti dal riciclaggio di materiale organico. Insomma, è la differenza tra Brasile e Yumi Someya, e non c'è dubbio, che la strada segnata dal giovane giapponese sia quella da seguire.

Giuseppe Terranova da Terra

giovedì 18 febbraio 2010

20 marzo a Milano contro tutte le mafie!!!


Partecipate al presidio di Libera 'Giorgio Ambrosoli' e dell'associazione '21 marzo', alla prossima Giornata della memoria e dell'impegno a favore delle vittime delle mafie.
Giornata che quest'anno si svolgerà a Milano.

SLOGAN
“Legami di legalità legami di responsabilità” è lo slogan scelto per la giornata del 20 marzo per richiedere a ciascuno di noi uno scatto in avanti, un sano protagonismo che unito a quello degli altri è funzionale alla costruzione di “una comunità alternativa alle mafie”, saldamente ancorata alla Carta Costituzionale.

DI CHE SI TRATTA?
Ogni anno il 21 di marzo LIBERA si ritrova con la sua rete di associazioni, scuole e cittadini in un lungo corteo per celebrare la Giornata dell’impegno civile in ricordo delle vittime delle mafie.

La XV edizione della giornata, anticipata quest’anno a sabato 20 marzo, si tiene a

MILANO

la città in cui la mafia uccise nella notte tra l’11 e il 12 di Luglio 1979 l’avvocato, “cittadino” di Ghiffa, Giorgio Ambrosoli;
la città in cui il 27 luglio del 1993 ci fu la strage mafiosa di via Palestro. Cinque morti;
la città in cui nel 2015 ci sarà l’Expo, attrazione per ingenti capitali su cui bisogna vigilare.

A conclusione del corteo interventi di personaggi di spicco e grandi concerti!


Per ricettività alberghiera
Agenzia Guglie Viaggi
booking@guglieviaggi.it
Marco: 02 7762204



CONTATTI A VB:
Associazione “21 Marzo” – Presidio “Giorgio Ambrosoli”

E-mail: libera21marzo@hotmail.it

NO INCENERITORE


Verdi verso la Costituente Ecologista

Le Province di Verbania e Novara
vogliono realizzare un TERMOVALORIZZATORE

NOI ESPRIMIAMO L’ASSOLUTO DISACCORDO NEI CONFRONTI
DI SCELTE:

CONTRO la Salute della Popolazione
COSTOSISSIME a carico della collettività

TERMOVALORIZZATORE = INCENERITORE

La VERA Lotta contro i Tumori la fai TU ora!

ESISTE UN’ALTRA SCELTA NON INQUINANTE
E
CONVENIENTE:
“TRATTAMENTO A FREDDO
DEL RIFIUTO RESIDUO”

Con questo metodo il rifiuto residuo della raccolta differenziata è trasformato, senza alcuna dispersione di veleni nell’aria, in materiale edile o plastico riciclato.

SCEGLIAMO IL MEGLIO PER NOI E PER I NOSTRI FIGLI!

Riteniamo che:
Costruire un Inceneritore per Novara e Verbania, le due città italiane più virtuose nel riciclo dei rifiuti sia una scelta scellerata!
La raccolta differenziata è:
- a Verbania al 73 %
- a Novara al 72 %.
L'interesse comune e il buonsenso consigliano di:
1 - Ridurre la quantità totale dei rifiuti
2 - Migliorare la raccolta differenziata fino almeno all'80%
3 - Trattare a freddo il rifiuto rimanente anziché bruciarlo

BRUCIARE I RIFIUTI FA MALE ALLA SALUTE

Causa tumori e altre gravi malattie specialmente ai bambini e alle donne. Come dimostra il libro “Gestione dei rifiuti e rischi per la salute” a cura di Antonio Faggioli ed Ernesto Burgio per le edizioni Medico Scientifiche 2009. In questo libro 35 medici, oncologi ed epidemiologi italiani, portano prove scientifiche e inoppugnabili del fatto che gli inceneritori minacciano gravemente non solo la salute delle persone, che vivono nelle vicinanze di questi impianti, ma anche la salute dei figli, nipoti e pronipoti di tutti:
i veleni, una volta nell’aria, raggiungono ogni angolo del pianeta!

Gli inceneritori, spacciati per TERMOVALORIZZATORI, sono oltretutto un FALLIMENTO ECONOMICO:
una volta accesi devono divorare incessantemente spazzatura, cosa che può costringere i gestori ad utilizzare anche rifiuti già differenziati abbassando di conseguenza la percentuale raggiunta di riciclo, o addirittura residui industriali di natura non sempre accertata.
Gli inceneritori, tramite i certificati verdi sottraggono alle tasche dei cittadini italiani miliardi di Euro, che dovrebbero invece sostenere lo sviluppo delle energie verdi: solare, eolica e geotermica. Ogni cittadino italiano, quando paga il 7 % della sua bolletta elettrica “per le energie alternative”, deve sapere che in questo caso:
i suoi soldi vanno anche a favore degli inceneritori.
VOGLIAMO TUTELARE LA SALUTE DELLE PERSONE
NO AGLI INCENERITORI ! - NO AGLI SPRECHI !

http://verdivco.blogspot.com

lunedì 15 febbraio 2010

Assemblea BICINCITTA' sul trasporto pubblico


ASSEMBLEA PUBBLICA SU LIBEROBUS

L’Amministrazione Comunale di Verbania tenta di abbozzare una “strategia di chiusura” dell’esperienza di LIBEROBUS ma senza fare una scelta definitiva e soprattutto senza una strategia precisa in materia di MOBILITA' SOSTENIBILE. Per ora dichiara solo che il trasporto pubblico sarà potenziato e annuncia, attenzione... annuncia, la nascita di "+bus".
Intanto il popolo della rete si mobilita e 2200 persone DIFENDONO l’esperienza su FACEBOOK annunciando nuove iniziative.
L’Associazione BICINCITTA’ VCO organizza il 18 Febbraio 2009 dalle ore 20:30 all'Auditorium S. ANNA un incontro pubblico sul tema.

INCONTRI ECO...LOGICI


INCONTRI ECO...LOGICI

"Parliamone insieme..."

Prossimi incontri:

Lun. 15-2 ore 21
Uso ed abuso dei Farmaci

Merc. 24-2 ore 21
Allattamento al seno: fortuna o cultura?

Alimentazione e salute: sai cosa mangi?

Merc. 14-4 ore 21
Consapevolezza e coscienza critica: come difenderci attivamente dai condizionamenti dei mezzi di comunicazione e dalla disinformazione.


Gli incontri si terranno presso l'Hotel "Il Chiostro" - via F.lli Cervi - Verbania Intra

sabato 13 febbraio 2010

"IL FUTURO DELLE NOSTRE CITTA' E' NELL'INTEGRAZIONE CON L'AMBIENTE"


Intervista
A colloquio con Daniel Lerch, autore del saggio Post Carbon Cities. Per capire come costruire centri urbani resistenti alle mutazioni del clima e in grado di provvedere ai propri bisogni energetici senza dipendere dal petrolio


Città, picco della produzione petrolifera e cambiamento climatico sono intimamente correlati. Le città, dove oggi vive più della metà della popolazione sono responsabili del 40 delle emissioni di gas serra.
Secondo climatologi, economisti e geografi urbani sono anche i luoghi dove cambiamento climatico e crisi energetiche legate ai picchi di produzione dei combustibili fossili produrranno effetti devastanti. Crisi idriche, salinizzazione del suolo, cambiamenti negli ecosistemi e nella produzione alimentare, inondazioni, aridità derivanti dai cambiamenti climatici altereranno inevitabilmente le strutture urbane.
Terra ha incontrato Daniel Lerch, autore del saggio Post Carbon Cities. Pianificare nell'incertezza climatica ed energetica per fare il punto su come amministratori devono agire per affrontare le sfide del futuro per costruire città resistenti alle mutazioni del clima.

Nel suo libro lei richiama l'urgenza di ripensare le città in maniera indipendente dai combustibili fossili e con una sempre maggiore attenzione alle minacce che possono derivare delle mutazioni del clima. Perché?
La priorità oggi è creare "Post carbon communities", comunità (intese come abitanti di una città, ndr) il cui obbiettivo è divenire resistenti a un mondo di incertezza legata al clima e alle risorse energetiche.
Comunità che devono fare molto di più che ridurre semplicemente le emissioni di gas serra e pianificare in maniera sostenibile.
È giunto il tempo di costruire città pronte ad affrontare ogni aspetto economico, sociale ed ambientale della crisi derivante dal picco della produzione di petrolio e dal peggioramento del riscaldamento globale.

Come si può intervenire dunque?
Non esiste una soluzione univoca, ogni città ha un contesto specifico e non esistono ricette uniche. Molti municipi oggi hanno tagliato l'uso di combustibili e hanno rivoluzionato il modo di fare progettazione. È importante soprattutto osservare le buone pratiche, gli esempi e le tecnologie virtuose e soprattutto comprendere quali possono funzionare e quali no.
Io raccomando sempre che le città non abbiano come primo obbiettivo la mera riduzione delle emissioni. Ridurre le emissioni è fondamentale, ma bisogna anche mantenere il fabbisogno energetico dei centri urbani.
La prima cosa che le città devono fare è svolgere un'analisi attenta delle debolezze e delle opportunità in uno scenario ipotetico dove il petrolio superi i 200 dollari a barile e dove il cambiamento climatico produca effetti visibili sull'economia e sulla giustizia sociale. Comprendendo quali sono le aree più deboli si può agire in maniera più sensata.
Meglio spendere due anni e costruire un piano solido per un intervento ventennale, che fare "cosucce" per ridurre le emissioni qua e là e poi scoprire che pianificare il cambiamento delle città è diventato ancora più dispendioso e difficile.

Oggi si parla di pianificazione urbanistica legata alla mitigazione, ovvero per contenere le emissioni e di pianificazione orientata all'adattamento, cioè a progetti per adattare le città a fenomeni come scarsità idrica, innalzamento delle acque, crisi energetiche. Lei cosa ne pensa?
In generale io credo che le comunità devono concentrarsi sull'adattamento, ovvero su come il territorio muterà e quali rischi ci si troverà ad affrontare.
A livello globale è importante le mitigazione delle emissioni. Ma a livello locale l'impatto delle emissioni è indiretto, quindi ha un peso minore sull'economia locale e sulla struttura sociale che problemi derivati da clima e scarsità energetica che avrebbero invece effetti immediati, diretti e catastrofici.
Mettiamo che una città riduca del 10 per cento le emissioni tra 2010 e il 2015. E poi si trovi improvvisamente nel mezzo di una crisi globale energetica, completamente impreparata. Ci sarebbero conseguenze sociali ed economiche drammatiche, specie se in concomitanza con disastri causati dal cambiamento climatico.
Avendo pensato solo a tagliare emissioni ha creato seri problemi ai suoi cittadini e fatto poco per risolvere il global warming. È importante invece che si arrivi ad un accordo sulle emissioni a livello nazionale ed internazionale. Governi e mercato globale sono contesti più efficienti per fermare l'effetto serra che milioni di regolamenti locali.
I trasporti sono la chiave per adattare le città ad un futuro condizionato da scarsità energetica e cambiamenti climatici. La regola d'oro è ottimizzare le risorse. Le auto usano una quantità assurda per muovere cose e persone. Per muovere una persona spostiamo anche un oggetto di varie tonnellate, per di più usando energia non rinnovabile.
Usare tutta quell'energia per andare al lavoro o fare la spesa è semplicemente da stupidi.


Emanuele Bompan da Terra

Incontri ECO...LOGICI "USO ed ABUSO dei FARMACI"

Incontri ECO...LOGICI
"USO ed ABUSO dei FARMACI"

Parliamone insieme... con Pier Francesco Orlando

lunedì 15 febbraio 2010
ore 21
Hotel "Il Chiostro"
Via F.lli Cervi
VERBANIA Intra

Pier Francesco Orlando è stato per anni Informatore Farmaceutico, racconta la sua esperienza.

Le Proposte dei VERDI verso la costituente degli ecologisti per una Mobilità Sostenibile.


Le Proposte dei VERDI verso la costituente degli ecologisti per una Mobilità Sostenibile.

Verdi verso la costituente degli ecologisti

PER UNA MOBILITA’ SOSTENIBILE
PER UNA CITTA' PIU' VIVIBILE
Il traffico stradale costituisce il principale fattore di pressione sull’ambiente atmosferico nelle nostre aree urbane: oltre il 90% del monossido di carbonio e oltre il 60% delle emissioni di ossidi di azoto e di composti organici volatili sono dovute, ai trasporti su strada; il traffico nelle città è anche la principale fonte di pressione per quanto concerne le emissioni di particolato, in particolare quello di dimensioni inferiori a 10 micrometri (PM10).
L’introduzione dei convertitori catalitici ed il costante miglioramento dei materiali e delle tecnologie costruttive dei sistemi catalitici hanno consentito una notevole riduzione degli inquinanti (CO, HC e NOx) emessi dalle autovetture. Tuttavia occorre sottolineare le criticità connesse con l’impiego di tali dispositivi in ambito urbano: le brevi percorrenze e le partenzea freddo tipiche del ciclo urbano fanno sì che il dispositivo non funzioni nelle condizioni ottimali, causando un aumento delle emissioni rispetto alle condizioni per le quali è stato progettato. Il catalizzatore può inoltre favorire, tramite reazioni indesiderate,la formazione di sostanze dannose per l’ambiente e per l’uomo, quali acido solfidrico, ammoniaca e protossido di azoto (N2O); esiste anche la possibilità di rilascio nell’ambiente dei metalli nobili, che costituiscono l’anima del catalizzatore stesso. Un altro aspetto di fondamentale importanza è l’invecchiamento e la durata dei sistemi catalitici: eventi traumatici o l’usura del dispositivo possono provocarne una considerevole perdita di efficienza, con un conseguente aumento degli inquinanti immessi in ambiente.
Per questi motivi è importante al fine di tutelare la salute dei cittadini attuare politiche del traffico che puntino a ridurre drasticamente la mobilità veicolare privata puntando
sulla mobilità pubblica, ciclabile e pedonale.
I VERDI verso la Costituente Ecologista sono convinti che occorra sostenere e potenziare progetti strategici miranti alla riduzione del traffico veicolare responsabile della produzione di gas inquinanti gravemente dannosi per la salute.
Essi devono riguardare:
Una forte e straordinaria iniziativa di sensibilizzazione per invogliare tutte le persone presenti nel territorio cittadino all'uso del mezzo pubblico.
Il sostegno a progetti di car pooling ovvero di trasporto privato collettivo.
La promozione della mobilità ciclabile con la creazione di una rete organica di piste ciclabili urbane.
Il coordinamento dei percorsi e del numero delle corse con i Comuni limitrofi soprattutto con quelli collinari
L'estensione delle aree pedonali chiuse al traffico e la messa in sicurezza dei percorsi pedonali.
Nel contempo va diffusa la cultura della vivibilità della città, dello star bene, della prevenzione.
Devono essere compiute scelte urbanistiche coerenti con questo obiettivo, che privilegino la mobilità sostenibile ciclo pedonale e con mezzo pubblico.
In questo quadro a sostegno di quanto detto
I VERDI VERSO LA COSTITUENTE ECOLOGISTA chiedono che:
* il progetto Liberobus venga mantenuto e potenziato nelle corse e nelle aree interessate, che sia aperto a tutti i cittadini di ogni età , ai turisti e comunque a chiunque si trovi nel territorio della città. Poter usufruire del trasporto pubblico senza formalismi burocratici sicuramente avvicina i cittadini ad una mobilità sostenibile che fa bene alla salute ed alla qualità della vita.

* La circolazione dei mezzi pubblici deve essere favorita creando ove possibile percorsi prioritari per i bus, sensi unici per i mezzi privati e corsie preferenziali per quelli pubblici. Per la mobilità nei centri urbani si propone di rimettere in servizio i bus elettrici.
* E’ quanto mai urgente pensare ad un progetto specifico per sviluppare l'uso della biclicletta con azioni concrete e il coinvolgimento delle associazioni interessate alla cultura della mobilità urbana ciclabile. Il Progetto CO2ZERO proposto dall'associazione BICINCITTA' con il contributo della Fondazione Cariplo del 60% rappresenta una grande opportunità da sperimetare sul territorio, una proposta culturale per sensibilizzare i cittadini all'uso urbano della bicicletta.
* la Provincia affronti la questione del coordinamento tra i Comuni per la manutenzione delle piste ciclabili ( manutenzione ordinaria, banchine di sosta attrezzate, segnalazioni corrette e visibili , campagna d’ informazione).
Una particolare attenzione merita la situazione del trasporto ferroviario che versa in una situazione di crescente degrado:
-
- I treni regionali, utilizzati da centinaia di pendolari, versano in una situazione di fatiscenza, di mancanza di manutenzione e pulizia che certamente non invogliano gli utenti all’uso del mezzo pubblico.
- Al mattino quasi tutti i treni si fermano a Milano P. Garibaldi e non arrivano alla stazione Centrale.
E’ necessario pertanto un impegno determinato delle autorità locali per affrontare in modo risolutivo le gravi carenze e le disfunzioni del trasporto pubblico ferroviario nella nostra città.