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lunedì 23 agosto 2010

Schegge di una vita usa e getta in Atlantico un’isola di plastica







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Schegge di una vita usa e getta in Atlantico un’isola di plastica

Lo studio della Sea Education Association è durato 22 anni, esaminati 64.000 campioni

Un’isoladi rifiuti, con un diametro
di 1000 miglia. Uno studio
durato22 anni documenta l’esistenza
anche in Atlantico di una
zattera formatada detriti di plastica
alla deriva. Piccoli frammenti
che uccidono il mare.


di Marina Mastroluca



Quest’estate hanno provato a misurarla. Una missione scientifica ha navigato ad est delle Bermuda, ma non è riuscita a segnare il confine: a perdita d’occhio un mare di plastica. L’Atlantico come il Pacifico, dove già era stata scoperta una spessa zattera di frammenti, che si addensano in vere e proprie isole galleggianti. Ventidue anni di osservazione, 64.000 campioni prelevati in 6100 punti diversi sono approdati alla conclusione - pubblicata su Science - che una gigantesca chiazza di detriti di plastica si è stabilmente posizionata anche nel Nord Atlantico fluttuando su una superficie stimata di mille miglia di diametro, dove è rimasta intrappolata dalle correnti. Frullato tossico Le analisi hanno dimostrato che si tratta per lo più di frammenti molto piccoli: grandi quanto la gomma da cancellare che spesso si trova sulle matite. Per raccoglierli e analizzarli sono state usate reti a maglia fitta, con una luce di appena 0,3 millimetri. È quello che resta di oggetti più grandi, un trito della nostra vita quotidiana usa e getta. Frammenti di flaconi di shampoo e bottiglie di plastica, di bicchieri e rasoi, di posate e confezioni per alimenti. Frantumati e ridotti ad una granella irriconoscibile, che non dice più nulla della loro vita precedente e della loro provenienza ma rappresenta una minaccia persino maggiore di frammenti più grossi, perché gli animali scambiano i detriti per cibo e li ingoiano. Dagli uccelli marini, al plancton, ai grandi mammiferi marini, nessuno è esente dal rischio. «Non sappiamo con certezza che cosa avvenga a questa plastica. Ma chiaramente gli organismi viventi non sono progettati per mangiare plastica», dice Kara Lavender Law della Sea Education Association, che ha coordinato la ricerca condotta con la Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) e l’Università deelle Hawaii e che nell’aprile scorso aveva anticipato qualche dato sullo studio pluriennale. La gran parte dei campioni è costituita da propilene e polipropilene, ultilizzati per produrre una grandissima varietà di oggetti. È un materiale più leggero dell’acqua e quindi rimane in superficie. È molto probabile che plastiche più dense giacciano invece nelle profondità del mare, dove la loro presenza è meno visibile e il recupero virtualmente impossibile - Greenpeace stima che il 70% delle plastiche sia inabissato. Discariche di profondità, invisibili ma non per questo meno nocive alla vita degli organismi marini. Per questo il fatto che nel corso del tempo la concentrazione dell’isola di plastica secondo la ricerca sia rimasta pressoché costante, non viene letta necessariamente come una buona notizia. «Bisogna stare attenti con l’interpretazione dei dati. Una spiegazione è che i frammenti siano diventati tanto piccoli da passare attraverso le maglie della rete e potrebbero essere ancora sulla superficie dell’Oceano», spiega Kara Lavender Law. Un’altra spiegazione è che i detriti più piccoli, appesantiti dalla crescita di materiale biologico sulla loro superficie, siano affondati. Non si vedono, dunque, ma sono lì, pronti a finire nella catena alimentare o a degradarsi in composti tossici. Le dimensioni dell’«isola» di plastica atlantica sono considerate simili a quella rintracciata nel Pacifico, la Grande Chiazza di Rifiuti (Great Pacific Garbage Patch) anche se confrontare i dati non è facile. Nella gigantesca pattumiera tra California e Hawaii, un grande vortice formato dalle correnti, due volte il Texas, fluttuano 200.000 frammenti per chilometro quadrato. «I rifiuti stazionano al centro della spirale con una tale concentrazione che ci sono sei chili di plastica per ogni chilo di plancton», secondo Greenpeace. E la stessa concentrazione è stata trovata nell’«isola» dell’Atlantico. Dall’inizio della ricerca nell’86, si stima che il consumo mondiale di plastica sia aumentato del 500%, basta dare un’occhiata a che cosa buttiamo ogni giorno per rendercene conto. Ogni anno vengono prodotti circa 250 milioni di tonnellate di plastica e meno del 5% viene riciclata. Quanto spesso ci chiediamo dove vada a finire il resto?


21 agosto 2010
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 24) nella sezione "Esteri"



L'articolo è leggibile on - line, in "chiaro" (Pdf)

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